Quadro normativo
La Commissione, per rispondere al quesito, ha proceduto preliminarmente ad una puntuale disamina normativa relativa alla questione in esame. Prima di tutto viene ricordato che l’informazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro è definita dal decreto 81 (all’art. 2, comma 1, lettera bb) come il complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro. Poi viene rammentato che il medesimo decreto pone come obbligo a carico del datore di lavoro e del dirigente di adempiere agli obblighi di informazione dei lavoratori in materia prevenzionistica. Successivamente viene sottolineato che il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali (SPP), istituito in azienda, ha, fra i suoi compiti, di provvedere a proporre i programmi di informazione dei lavoratori e a fornire ai lavoratori le informazioni in materia di salute e sicurezza. Tali compiti sono in capo all’intero SPP e non solamente al suo responsabile. In conclusione viene citato l’art. 36 della norma prevenzionista che disciplina compiutamente l’informazione ai lavoratori nella materia della salute e sicurezza sul luogo del lavoro.
Obblighi informativi delle imprese
Il datore di lavoro deve provvedere affinché ciascun lavoratore riceva un’adeguata informazione: – sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi all’attività dell’impresa in generale – sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione dei luoghi di lavoro – sui nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di primo soccorso, di lotta antincendi e di evacuazione dei luoghi di lavoro – sui nominativi del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e protezione (RSPP e ASPP) e del medico competente (MC). Inoltre il datore di lavoro deve provvedere affinché ciascun lavoratore riceva un’adeguata informazione: – sui rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta, sulle normative di sicurezza e sulle disposizioni aziendali in materia – sui pericoli connessi all’uso delle sostanze e delle miscele pericolose sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica; – sulle misure e sulle attività di protezione e prevenzione adottate.
La risposta della Commissione Sulla base di tutti gli elementi normativi sopracitati, la Commissione risponde al quesito dell’istante attraverso l’interpello n.2-2018 (interp_2_2018_sl pdf) affermando che rientra nella scelta del datore di lavoro decidere, caso per caso, a chi affidare l’onere di erogare l’adeguata informazione a ciascuno dei propri lavoratori. Sarà onere del datore stesso, in ogni caso, per non incorrere in eventuali colpe “in eligendo” e “in vigilando”, affidare l’informazione dei lavoratori ad un soggetto idoneo e verificare costantemente che l’informazione venga svolta in modo adeguato. Potrà senz’altro avvelersi dell’SPP costituito in azienda, da parte dell’insieme dei componenti del servizio (responsabile e addetti) e non già del solo responsabile, per erogare l’informazione, ma tale scelta, benchè sia certamente logica e funzionale, non è un tassativo precetto normativo.
Sanzioni in caso di mancata informazione
La fattispecie sanzionatora penale, a carico del datore di lavoro e del dirigente responsabile, nella quale si incorre per la mancata informazione ai lavoratori, è data dallo stesso art. 36 del decreto 81. E’ previsto l’arresto da due a quattro mesi o l’ammenda da 1.315,20 a 5.699,20 euro ed è applicabile la procedura estintiva agevolata (D.Lgs. n. 758/1994). Per quanto riguarda l’informazione, si computa ancora una sanzione per ogni lavoratore non informato adeguatamente (“cumulo materiale”), come si deduce dalla “storica” Lettera Circolare 18 aprile 2008 n. 5407 del Ministero del Lavoro, la quale rilevava che le fattispecie contravvenzionali più ricorrenti, legate alla tutela di soggetti passivi determinati, sono da riferirsi a ciascun lavoratore e, pertanto, le relative condotte datoriali debbono intendersi come distinte ed astrattamente indipendenti l’una dall’altra, ancorché poste in essere in un medesimo contesto temporale, dando quindi vita ad un importo sanzionatorio riferito a ciascun lavoratore interessato. Non si può non sottolineare che siamo in presenza quantomeno di una “dimenticanza” del legislatore, da correggere quanto prima, poichè il Jobs Act (D.Lgs. n. 151/2015) ha invece voluto “graduare” la risposta sanzionatoria, con un diverso cumulo, per la simile violazione relativa alla mancata formazione dei lavoratori. Il Jobs Act ha infatti previsto che, ai fini del computo delle sanzioni penali da applicare in caso di pluralità di lavoratori per i quali si sia disatteso l’obbligo della formazione (art. 37, comma 1, del decreto 81), gli importi della sanzione siano raddoppiati, se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori, mentre se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori gli importi della sanzione siano triplicati.