Interessanti i temi toccati al Convegno organizzato dall’Ordine dei Consulenti al lavoro di Genova il 21 giugno ed, in particolare, l’attività dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (I.N.L.) che ha emanato la Circolare n. 3 del 25 gennaio 2018 avente ad oggetto la “mancata applicazione dei contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale – attività di vigilanza”, con la quale fornisce indicazioni operative, ai propri ispettori, circa l’attività di vigilanza verso le aziende che non applicano i contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e che possono determinare problematiche di dumping.
Il Direttore Pariscenti, relatore del convegno, chiarisce la propria posizione “se i contratti collettivi sottoscritti da associazioni non considerate comparativamente più rappresentative rispettano i minimi previsti da quelli sottoscritti da quelle associazioni comparativamente più rappresentative, osservare i primi è come osservare i secondi” e sottolinea una significativa differenza letterale tra il dettato normativo di cui all’art. 1, comma 1175, L. n. 296/2006, richiamato dalla circolare, e l’affermazione contenuta nella circolare summenzionata “mancata applicazione dei contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale….”.
“Non vi è alcun dubbio che anche contratti collettivi sottoscritti da associazioni non comparativamente più rappresentative siano di norma pienamente legittimi ed efficaci rispetto agli iscritti alle associazioni medesime in forza della libertà di organizzazione sindacale” afferma Pariscenti. Il problema si pone nel caso di coesistenza nella stessa categoria di tali contratti con altri stipulati da una o più associazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
Esso è stato affrontato e risolto, continua il direttore , da Corte Cost. 1 aprile 2015, n. 51, con riferimento all’art. 7, co. 4 del d.l. n. 247/2008, secondo cui “Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio-lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci, ai sensi dell’art. 3 della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale della categoria”. A ben guardare il riferimento all’art. 3 della legge n. 142/2001, è forzato, perché tale articolo prevedeva un “trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine …”, mentre nell’art. 7, co. 4 d.l. n. 247/2008 diviene “trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale di categoria”. Nel precedente art. 3 il riferimento alla retribuzione proporzionata e sufficiente di cui all’art. 36 Cost., con la conseguente assunzione a referenti i minimi salariali offerti dai contratti collettivi, è del tutto evidente; mentre non lo è certo nell’art. 7, co. 4.
“Ora la Corte viene chiamata in causa per il possibile contrasto dell’art. 7, co. 4 del d.l. n. 247/2008 con l’art. 39, co. ss. Cost. in quanto conferirebbe ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative una efficacia erga omnes riservata alla particolare procedura costituzionale peraltro mai attuata.” La Corte respinge l’eccezione di costituzionalità sollevata nei confronti dell’art. 7, co. 4, mossa dalla minaccia costituita dai contratti c.d. pirata, con retribuzioni di molto inferiori a quelle di cui ai contratti collettivi siglati da associazioni maggiori, ma lo fa recuperando l’art. 36 Cost.: “Il censurato art. 7, comma 4 del d.l. n. 248 del 2007, congiuntamente all’art. 3 della legge n. 142 del 2001, lungi dall’assegnare ai predetti contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentativi, efficacia erga omnes, in contrasto con quanto statuito dall’art. 39 Cost., mediante un recepimento normativo degli stessi, richiama i predetti contratti e più precisamente i trattamenti economici complessivi minimi ivi previsti, quale parametro esterno di commisurazione, da parte del giudice, nel definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell’art. 36 Cost. … Nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l’articolo censurato si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea coll’indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative (fra le tante, la sentenza già citata della Corte di Cassazione n. 17583 del 2014)”.
“E’ del tutto evidente che la Corte ritiene non che i contratti collettivi stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative siano da osservarsi in toto anche dai non iscritti, il che equivarrebbe a considerarli dotati di una efficacia erga omnes, ma che solo i trattamenti economici complessivi minimi lo debbano essere, perché integranti la retribuzione proporzionata e sufficiente di cui all’art. 36 Cost. Se, dunque, contratti collettivi stipulati da associazioni non comparativamente rappresentative rispettano o addirittura migliorano tali trattamenti economici complessivi minimi, essi risultano perfettamente in linea.”
Alla luce di questa sentenza della Corte Costituzionale deve essere letto ed interpretato l’art. 1, co. 1175 della l. n. 296/2006 per cui “A decorrere dal 1 luglio 2007, i benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. Per evitare un contrasto con l’art. 39 Cost., si deve anche qui ritenere che non si siano dotati di una efficacia erga omnes, ma siano stati assunti a referenti da rispettare con riguardo ai loro trattamenti minimi, sì che non inficiano altri contratti collettivi stipulati da associazioni non comparativamente rappresentative che rispettino tali minimi.
Sicché anche il richiamo effettuatone dalla circolare Inps n. 17/2015, sub 4, “Condizioni per il diritto all’esonero contributivo”, previsto dall’art. 1, co. 118 l. n. 190/2014, fra le quali viene ricompreso “b) rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” non dovrebbe essere inteso in senso diverso, cioè di rispetto dei minimi.
Ancora sul tema, illustra il direttore, l’Inps, per quanto concerne sempre l’accesso ai “benefici”, ha emanato la circolare n. 51 del 18 aprile 2008 dove, al punto 4), dove chiarisce che “i benefici sono subordinati all’applicazione della sola parte economica e normativa degli accordi e contratti collettivi, e non anche della parte obbligatoria di questi ultimi. La disposizione, infatti, ove interpretata nel senso di imporre l’applicazione anche della parte obbligatoria del contratto collettivo risulterebbe in contrasto con i principi costituzionali di libertà sindacale di cui all’art.39 della Cost., oltre che con i principi di diritto comunitario della concorrenza”.
Si può richiamare qui l’art. 36 St., per cui “Nei provvedimenti di concessione dei benefici accordati ai sensi delle vigenti leggi dello Stato … e nei capitolati di appalto attinenti all’esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l’obbligo … di applicare o di far applicare … condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona”. Orbene la dottrina e la giurisprudenza l’hanno interpretato nel senso che non provoca una estensione dell’efficacia soggettiva dei contratti collettivi richiamati, così dotandoli di una efficacia erga omnes, ma realizza semplicemente un meccanismo di ricezione indiretta di modo che tali contratti assumono la funzione di mero termine di raffronto, coll’offrire una semplice indicazione di minimi livelli normativi e retributivi da rispettare.