FAQ

Cosa sono gli enti bilaterali?

Gli enti bilaterali affondano le loro origini nella storia del diritto del lavoro e del diritto sindacale (Leopardi 2003, 3). Per questo motivo è molto difficile individuare la loro precisa collocazione temporanea, si presume che l’ascendente degli enti bilaterali siano state le casse di muto soccorso (Martinengo 2003, 175).

Gli enti bilaterali svolgono sul territorio una serie di funzioni: dall’integrazione del reddito nei periodi di sospensione del lavoro a favore dei lavoratori licenziati per ragioni oggettive o economiche alla formazione ed aggiornamento professionale per i lavoratori e gli imprenditori; dall’integrazione alle prestazioni economiche spettanti in caso di malattia, infortunio e maternità all’assistenza e sostegno per soddisfare particolari bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie (quali concessioni di borse di studio ed integrazioni per prestazioni sanitarie) fino ad arrivare all’assistenza per le vertenze in materia di lavoro.

Tali enti sono considerati di derivazione contrattuale, in quanto sono stati istituiti ed inseriti, con accordo tra le parti sociali (associazione sindacali dei datori di lavoro ed associazione sindacali dei lavoratori), nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (Bellardi 1997, 23).

Dunque, la bilateralità rappresenta un contributo efficace ed una risposta adeguata al bisogno di consolidare una democrazia pluralista in cui l’espletamento delle funzioni sociali (in senso ampio) non può essere riservato all’apparato pubblico e alla mera amministrazione – centrale o periferica che sia – ma deve coinvolgere direttamente le rappresentanze sociali che nelle società avanzate sono costituite innanzitutto (anche se non solo) dalle grandi organizzazioni sindacali. Questo naturalmente è tanto più vero per le materie economico-sociali riguardanti il lavoro, i diritti sociali e le condizioni di vita dei lavoratori, e soprattutto non significa certamente che si riduca lo spazio della libera negoziazione, che anzi così si accresce, dal momento che gli enti bilaterali e le loro stesse competenze traggono radici e sostentamento dall’azione contrattuale tra le parti (Acocella, Biz e Lai 2002). Essi, infatti, rappresentano lo strumento di attuazione ed amministrazione del contratto collettivo in aree e settori produttivi nei quali la parte datoriale è frammentata ed è soggetta ad un alto tasso di variabilità, con conseguente frammentazione e variabilità della rappresentanza dei lavoratori (Cester 2003, 212).

L’esperienza della bilateralità ha riguardato alcuni settori, vale a dire quello dell’edilizia, del commercio, dell’artigianato e del turismo. Accanto agli enti bilaterali indicati, esistono anche enti introdotti da provvedimenti legislativi o da accordi non unitari come, ad esempio, i fondi previdenziali o quelli interprofessionali.

Qual è la natura giuridica degli enti bilaterali?

Gli enti bilaterali vengono considerati associazioni non riconosciute e, quindi, disciplinate dagli artt. 36 ss. c.c..

L’associazione non riconosciuta, inquadrabile nello schema dell’art. 36 c. c., ha come elementi caratteristici i seguenti:
a) il fine che trascende i singoli componenti;
b) l’organizzazione collettiva;
c) la costituzione di un fondo comune, che non è di necessità fisso;
d) la mutevolezza dei componenti;
e) la rappresentanza conferita ai dirigenti.

Tale associazione si configura come un ente collettivo costituente un centro autonomo di interessi fornito di un patrimonio distinto da quello dei singoli soci e, se pur priva di personalità giuridica, rappresenta comunque un soggetto di diritto. Essa ha un proprio patrimonio, costituito dal fondo comune, una propria capacità sostanziale e processuale, che esplica attraverso persone fisiche legate da rapporto organico e non di mera rappresentanza volontaria degli associati, una propria organizzazione, interna ed esterna, regolata dai patti dell’accordo associativo o, in difetto, ove non incompatibili, dalle norme disciplinanti le associazioni riconosciute e le società, quali elementi integrativi di quei patti (Cass. civ., sez. I, 14 aprile 1986, n. 2601, MGL, 1986).

La giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. lav., 6 luglio 2000, n. 9043, MGI, 2000) considera associazioni non riconosciute le organizzazioni sindacali dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro, in base alla loro natura di gruppi – di lavoratori o datori di lavoro – organizzati in modo stabile e provvisti di strumenti finanziari e organizzativi adeguati per lo svolgimento di una attività comune di autotutela. In assenza di una legislazione di attuazione dell’art. 39, parte II, Cost. per la relativa disciplina occorre far riferimento alla normativa dettata dagli artt. 36, 37 e 38 c.c. Ne consegue che le suddette associazioni, in base all’art. 36, 2° co., c.c., possono stare in giudizio nelle persone alle quali dal rispettivo statuto è attribuita, secondo l’usuale terminologia, la presidenza o la direzione, salvi restando i principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di elementi rilevanti ai fini dell’esistenza di una associazione non riconosciuta con riguardo agli organismi interni (sezioni, rappresentanze sindacali aziendali ecc.) delle associazioni stesse ai quali, com’è noto, può essere riconosciuta la possibilità di stare in giudizio autonomamente, sempre per mezzo delle persone indicate nell’art. 36 citato.

Mentre, non può considerarsi associazione non riconosciuta, per mancanza di scopo comune, lo spaccio aziendale nato in forza di ccnl per assicurare un pagamento anticipato ed in acconto, di salari e stipendi, fatto da un’azienda agricola ai propri dipendenti per mezzo della distribuzione di generi in natura (Trib. Monza 19 ottobre 1982, FI, 1983, I, 1745, in cui è stata respinta l’opposizione a decreto ingiuntivo dell’azienda agricola, che deduceva la propria carenza di legittimazione passiva di fronte al decreto ingiuntivo ottenuto da un fornitore dello spaccio aziendale.

Ritornando alla natura giuridica degli enti bilaterali, la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. lav., 6 marzo 1986, n. 1502, MGL, 1986), con una sentenza non recente, ha ribadito che gli enti bilaterali possono essere configurati come enti di fatto, dotati di autonomia ed idonei ad essere titolari di rapporti giuridici propri, distinti dai soggetti che ad essa hanno dato vita e da coloro (datori di lavoro e lavoratori) ai quali sono destinati i servizi e le prestazioni che ne costituiscono gli scopi; pertanto essi hanno la capacità processuale di stare in giudizio in persona dell’organo (presidente) che ne ha per statuto la rappresentanza legale”. In tal modo, la giurisprudenza, li ha assimilati alle associazioni non riconosciute; ma non ha mancato di sottolineare come l’assimilazione non equivale a identità. Infatti, tra gli enti bilaterali e le associazioni non riconosciute, è possibile individuare delle diversità che possono ricondursi al fatto che, mentre nell’associazione non riconosciuta, la comunanza di scopo caratterizza direttamente e nella stessa maniera la posizione giuridica degli associati, viceversa, nell’ente bilaterale, appare caratterizzante la presenza di due centri di interesse ben diversificati, in quanto sindacati antagonisti (Cester 2003, 211).

Qual è il ruolo degli enti bilaterali oggi?

Il ruolo degli enti bilaterali, per coniugare esigenze di giustizia sociale ed esigenze di competitività delle imprese, risulta assai valorizzato nella l. 14.2.2003, n. 30 e nel suo decreto attuativo (d.lgs. 10.9.2003, n. 276). In effetti, il fenomeno del bilateralismo nelle relazioni industriali costituisce una delle caratteristiche più interessanti e del sistema italiano, i cui aspetti innovativi vanno adeguatamente colti valorizzati (Relazione di accompagnamento al d.lg. n. 276/2003). Il Governo, attraverso le misure contenute nella l. n. 30/2003 si propone di incentivare lo sviluppo di altre competenze e funzioni, affinché tali enti bilaterali possano definire la sperimentazione di nuove tecniche regolatorie, diverse non solo dalla legge, ma anche rispetto alla stessa contrattazione collettiva (Relazione di accompagnamento al d. lg. n. 276/2003).

Le aree investite dalla bilateralità sono tre: la strutturazione del mercato del lavoro ed anche la gestione di prestazioni integrative o sostitutive rispetto al sistema generale obbligatorio di sostegno al reddito; la programmazione delle attività formative e la determinazione delle modalità di attuazione delle formazione professionale in azienda con particolare riferimento al nuovo contratto di apprendistato ed, infine, la funzione certificatoria dei contratti di lavoro, in vista della prevenzione delle controversie giudiziali sul piano della esatta qualificazione del contratto di lavoro, nonché dei processi di outsourcing, in funzione di un corretto utilizzo dei contratti di somministrazione di lavoro e di appalto.

In particolare, nella l. n. 30/2003 è previsto, riguardo alle “nuove” funzioni degli enti bilaterali:
– all’art. 1, 2° comma, lett. l) che alle associazioni non riconosciute ovvero a enti organismi bilaterali costituiti da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale, ai consulenti del lavoro, nonché alle università ed agli istituti di scuola secondaria di secondo grado, prevedendo, altresì, che non vi siano oneri o spese a carico dei lavoratori, fatto salvo quanto previsto dall’art. 7 della Convenzione Oil del 19 giugno 1997, n. 181, ratificata dall’Italia in data 1 febbraio 2000, unitamente ai soggetti pubblici e privati già esistenti, tramite un unico regime di autorizzazione ed accreditamento, sono riconosciute le funzioni di intermediazione nel mercato del lavoro;
– art. 1, 2° comma, lett. m), nel punto primo, che gli enti bilaterali sono autorizzati a costituire agenzie per il lavoro, per poter svolgere la somministrazione di lavoro;
– art. 2, 1° comma, lett. h) che è possibile la sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento, al fine di determinare i contenuti dell’attività formativa, concordati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul paino nazionale e territoriale, anche all’interno di enti bilaterali, ovvero, in difetto di accordo, determinati con atti delle regioni, di intesa con il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali;
– art. 5, 1° comma, lett. b) che agli enti bilaterali viene affidata la funzione di certificazione del rapporto di lavoro;
– art. 5, 1° comma, lett. f) che si può esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 410 del c.p.c. innanzi all’organo preposto alla certificazione quando si intenda impugnare l’erronea qualificazione dello stesso o la difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, prevedendo che gli effetti dell’accertamento svolto dall’organo preposto alla certificazione permangano fino al momento in cui venga provata l’erronea qualificazione del programma negoziale o la difformità tra il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione e il programma attuato. In caso di ricorso in giudizio, introduzione dell’obbligo in capo all’autorità giudiziaria competente di accertare anche le dichiarazioni e il comportamento tenuto dalle parti davanti all’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro;
– art. 5, 1° comma, lett. g) che è attribuito agli enti bilaterali la competenza a certificare non solo la qualificazione del contratto di lavoro e il programma negoziale concordato dalle parti, ma anche le rinunzie e transazioni di cui all’art. 2113 c.c. a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse.

La l. n. 30/2003 è stata attuata dal d.lg. n. 276/2003, che quest’ultimo, a sua volta, è stato modificato ed integrato dal d.lg. 6.10.2004, n. 251. All’art. 2, 1° co., lett. h) d.lg. n. 276/2003 precisa che gli enti bilaterali spetta la funzione di regolamentazione del mercato del lavoro attraverso promozione di una occupazione regolare e di qualità; l’intermediazione nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione di attività formative e la determinazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azienda; la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per la inclusione dei soggetti più svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l’integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento.

Enti bilaterali e organismi paritetici, qual è la differenza?

La differenza tra i due organismi è prioritariamente nelle fonti istitutive di legge:

–           l’art. 2 comma 1, lett. h), del D.Lgs. 276/2003 definisce gli “enti bilaterali”: organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro attraverso: la promozione di una occupazione regolare e di qualità; l’intermediazione nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione di attività formative e la determinazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azienda; la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per la inclusione dei soggetti più svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l’integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento;

–           l’art. 2 comma 1, lett. ee) del D.Lgs. 81/2008 definisce gli “organismi paritetici”: organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quali sedi privilegiate per: la programmazione di attività formative e l’elaborazione e la raccolta di buone prassi a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e alla sicurezza sul lavoro; l’assistenza alle imprese finalizzata all’attuazione degli adempimenti in materia, ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento;

Rispetto a tutto quanto sopra l’art. 51 comma 4 del D.Lgs. n. 81/2008 prevede che “sono fatti salvi, ai fini del comma 1, gli organismi bilaterali o partecipativi previsti da accordi interconfederali, di categoria, nazionali, territoriali o aziendali.”

Pertanto le Parti Sociali, nella propria autonomia contrattuale, possono aver previsto un accorpamento di funzioni nell’accordo sindacale istitutivo e/o nello statuto al fine di evitare il proliferare di più enti che per varia natura si sovrappongono anche rispetto alla materia della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro giacché all’interno della elencazione dei compiti e delle attribuzioni degli enti bilaterali compare anche l’indicazione allo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro.

Infine la sentenza della Corte Costituzionale n. 176 del 2010, identifica gli Enti Bilaterali quali “organismi privati istituiti dalla contrattazione collettiva” che ne disciplina anche il funzionamento e la relativa quota di adesione così come l’ultimo comma dell’art. 2 comma 1, lett. ee) del D.Lgs. 81/2008 stabilisce all’interno della elencazione dei compiti e delle attribuzioni degli organismi paritetici “ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento” riconoscendoli tout court anch’essi come istituti di natura contrattuale.

Cos’è quindi l’EBITEN?

E’ un organismo bilaterale (ente bilaterale ed organismo paritetico) ovvero un’associazione no profit costituito tra le organizzazioni imprenditoriali Sistema Impresa, AiFOS e i sindacati dei lavoratori Confsal e Fesica-Confsal che copre tutto l’arco produttivo delle aziende ad esclusione del settore edile. L’EBITEN è stato costituito con atto notarile il 9 dicembre 2009 in seguito di Accordo sindacale Interconfederale del 19 novembre 2009.

Cosa si intende per “obbligatorietà della bilateralità”?

L’iscrizione del datore di lavoro a un Ente Bilaterale ed il pagamento della relativa contribuzione sono obbligatorie solo se l’azienda è associata a una delle organizzazioni che hanno stipulato il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato. Tuttavia, se il contratto collettivo prevede, nella parte economico-normativa, tutele aggiuntive per dipendenti e che una determinata prestazione rappresenti un diritto dei lavoratori, l’iscrizione all’ente rappresenta una delle modalità per adempiere all’obbligo gravante sul datore.

In buona sostanza, se, secondo il contratto collettivo nazionale, sono previsti, per i lavoratori, benefici aggiuntivi di carattere economico /assistenziale, il datore di lavoro ha tre strade: corrispondere ai dipendenti un elemento ulteriore della retribuzione, equivalente ai benefici spettanti, corrispondere direttamente dei benefici equivalenti a quelli spettanti, oppure aderire all’Ente Bilaterale e pagare la relativa contribuzione. In merito all’adesione a uno specifico Ente Bilaterale, come abbiamo detto, non è previsto un vero e proprio obbligo, a meno che l’azienda non aderisca ad un’associazione firmataria del contratto collettivo di lavoro applicato: difatti, come chiarito da una nota del Ministero del Lavoro [1], nessuna norma può imporre l’adesione a un organismo di derivazione sindacale, perché violerebbe la libertà costituzionale di non aderire a nessuna associazione sindacale.

Tuttavia, come già esposto, quando il CCNL prevede tutele aggiuntive per i lavoratori, nella parte economico-normativa, il datore può scegliere tra riconoscere un’ulteriore retribuzione o prestazioni equivalenti (anche attraverso altro ente) al dipendente o aderire all’ente bilaterale del CCNL di riferimento.

In base a una nota circolare del Ministero del lavoro [2], che riprende quanto affermato nella già citata nota del 2010, si ritiene che l’azienda abbia libertà di scelta riguardo all’Ente Bilaterale a cui aderire: tuttavia, l’iscrizione a un determinato ente deve garantire le stesse prestazioni aggiuntive previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro.

[1] Mlps, nota n. 80/2010.

[2] Mlps, circ. n. 43/2010.

Cosa si intende per maggiore rappresentatività comparata ed esistono circolari Ministeriali a riguardo?

L’elevato numero di iscritti, cioè un criterio meramente numerico, pur costituendo un criterio significativo, non è da solo sufficiente a conferire una patente di «maggiore rappresentatività» senza la chiamata in causa di altri requisiti, che dottrina e giurisprudenza hanno così individuato:

  1. l’equilibrata presenza di un ampio arco di categorie professionali, non ritenendosi adeguatamente rappresentativo un sindacato concentrato solo in alcuni settori o categorie merceologiche, né un sindacato rappresentativo di una sola categoria dei prestatori di lavoro;
  2. la diffusione su tutto il territorio nazionale, negandosi la patente di maggiore rappresentatività a confederazioni caratterizzate da concentrazione territoriale e da sostanziale scopertura in ampie zone del Paese;
  3. l’esercizio continuativo dell’azione di autotutela con riguardo a diversi livelli e a diversi interlocutori, vale a dire l’effettività dei compiti che qualificano tipicamente l’azione sindacale nei confronti delle controparti datoriali e delle pubbliche istituzioni e la capacità di controllo e mobilitazione della base;
  4. la reale capacità di influenza sull’assetto economico e sociale del Paese quale solo un interlocutore stabile ed effettivo dei pubblici poteri è in grado di spiegare;

A livello di confederazioni la giurisprudenza ha inizialmente ritenuto maggiormente rappresentative CGIL, CISL, UIL. Il requisito è stato, poi, attribuito e riconosciuto anche alla CIDA, alla Confsal, alla CISAL e ad altre Confederazioni. A tal proposito una circolare del Ministero non si discosta da quanto già illustrato.

Nella più recente legislazione di rinvio a discipline collettive in chiave di integrazione a precetti legali, la nozione di sindacato maggiormente rappresentativo lascia il posto sovente ad una diversa formula, quella di sindacato comparativamente più rappresentativo.

Di fronte a questa formula la dottrina si è sforzata di fissarne ratio e caratteri essenziali. Il compito è, tuttavia, risultato arduo. Probabilmente, la rappresentatività comparata tenta di sopperire all’ormai scarsa selettività della maggiore rappresentatività sindacale, in fondo ereditandone la medesima finalità, promozionale del c.d. sindacalismo storico. È, però, interessante notare come essa appaia prevalentemente incardinata a livello categoriale, diversamente dalla maggiore rappresentatività confederale.

In merito alla comparazione tra sigle sindacali solo nel pubblico allo stato attuale è possibile grazie alla certificazione dei dati da parte dell’ARAN – segnaliamo all’uopo il rapporto in merito allo SNALSCONFSAL al seguente link: http://bit.ly/2VXfFRB

Nel privato valgono i consessi a numero ridotto di sigle sindacali es. CNEL, CIV INPS, COMMISSIONE EX ART.6 (IN ALLEGATO DECRETO DI RICOSTITUZIONE)

Ricordiamo che la Confsal è presente nei seguenti organismi:

  • CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro con due rappresentanti;
  • CIV – Comitato Indirizzo e Vigilanza dell’INPDAP con due rappresentanti;
  • CIV – IPOST (Postelegrafonici) con 1 rappresentante;
  • in sottocomitati INPDAP con due rappresentanti;
  • nel Comitato Nazionale INPS Pensionati Dipendenti con un rappresentante;
  • in Comitati Regionali e Provinciali INPS e NEI CLES – Comitati per l’emersione del lavoro sommerso;
  • Comitato di Sorveglianza PON (Piani Occupazionali Nazionali);
  • CESE – Comitato Economico e Sociale Europeo;
  • CIV INAIL nella persona del Dott. Massenti Achille;
  • CIV INPS nella persona del Dott. Callipo Sebastiano;
  • COMMISSIONE CONSULTIVA PER LA SALUTE E SICUREZZA PRESSO IL MINISTERO DEL LAVORO EX ART.6 D.LGS. n. 81/2008

Il sindacato comparativamente più rappresentativo

Circolare MLPS maggiore rappresentatività

Diritto del lavoro – testo

Da quando decorre la contribuzione all’EBITEN e quando cessa?

L’obbligo di contribuzione decorre dal mese in corso se l’assunzione avviene il primo giorno del mese, se invece l’assunzione avviene nel corso del mese l’obbligo decorre dal primo giorno del mese successivo. Nel caso di cessazione o sospensione del rapporto di lavoro,  nel corso del mese, l’obbligo di contribuzione prosegue per tutto il mese.

Il lavoratore può aderire all’Ente Bilaterale se l’azienda non aderisce?

No.

In quale misura i versamenti individuali incidono sui servizi erogati dall’Ente Bilaterale?

L’Ente Bilaterale ha una natura privatistica ed eroga i servizi in base alle disponibilità di cassa, a prescindere dai versamenti individuali.

Cosa si intende per bilateralità intesa come “salario differito” per i CCNL del comparto cooperativo?

Per “salario differito” si intende la corresponsione al lavoratore di un beneficio tramite l’erogazione di un servizio complementare e sostitutivo alla retribuzione tabellare pattuita. Dal punto di vista strettamente pratico le Parti in fase di stesura del CCNL individuano una quota parte che, invece di essere retribuita come paga base conglobata, viene utilizzata per l’erogazione di un servizio usufruito dal lavoratore. Tutti gli enti bilaterali/fondi assistenziali integrativi hanno questa natura. A sancirne l’obbligatorietà è la necessaria corresponsione in busta paga della somma “sottratta” contrattualmente alla paga base conglobata nel momento in cui il datore opta per la non iscrizione ai Fondi/Enti previsti nel CCNL (anche l’EBITEN prevede la corresponsione dell’EDR se non si aderisce all’ente stesso).

Affinché possa essere considerato “salario” il servizio deve possedere 2 caratteristiche tipizzanti:

– il servizio è erogato a favore del lavoratore che è il soggetto che ne trae beneficio.

– il servizio è “sostitutivo della retribuzione” (a sancirlo in via indiretta la sentenza 6530/2001 Corte di Cassazione).

Consiglio di Stato 4699_2015

Quali ono i lavoratori soggetti alla contribuzione a EBITEN?

  • La contribuzione a EBITEN è dovuta per tutti i lavoratori dipendenti, sia a tempo determinato che a tempo indeterminato, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, anche in caso di assunzioni e cessazioni in corso di mese. Il contributo mensile dovuto dalle imprese e dai lavoratori dipendenti è stabilito nella misura dell’1% dell’ammontare della retribuzione lorda salvo eventuale deroga in capo alla contrattazione collettiva di categoria ammessa dalle Confederazioni che può prevedere quote differenti (N.B. verificare per ciascun C.C.N.L. la quota corrispondente).
    • Part-time: la contribuzione risulta automaticamente riproporzionata in base all’imponibile del mese.
    • Apprendisti: la contribuzione risulta automaticamente riproporziona in base all’imponibile del mese.
    • Lavoratori a chiamata: la contribuzione risulta automaticamente riproporzionata in base all’imponibile del mese, mentre, in assenza di attività lavorativa (a seguito di chiamata) e di indennità di disponibilità, non è dovuta.

Richiesta di chiarimenti in merito al contenuto della circolare n.43 del 2010

(si riporta la FAQ – Dalla lettura della circolare, sembrerebbe che l’applicazione del CCNL nella sua interezza sia un obbligo per il datore di lavoro e per il lavoratore. In tema di versamenti agli Enti Bilaterali, la circolare in oggetto parrebbe consentire, in alternativa al versamento di quanto dovuto agli enti previsti dal CCNL applicato in azienda, il versamento anche ad altri enti bilaterali o addirittura a società in grado di erogare servizi analoghi. Nel caso in cui l’azienda optasse per questa opportunità il contratto può ritenersi applicato nella sua integralità? Questa scelta può essere contestata da parte degli enti preposti al controllo in materia, in caso di controllo in azienda?)

In primis pare opportuno richiamare la definizione di “ente bilaterale” così come definito dall’art. 2 comma 1, lett. h), del D.lgs. n. 276/2003: “organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro attraverso: la promozione di una occupazione regolare e di qualità; l’intermediazione nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione di attività formative e la determinazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azienda; la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per la inclusione dei soggetti più svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l’integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento.”

In realtà il concetto di ente bilaterale può essere esteso a tutte quelle forme giuridiche nella quale si prevedono organi direttivi composti da una parte sindacale dei lavoratori e da una parte sindacale datoriale. All’interno della Contrattazione Collettiva si possono ravvisare una molteplicità di sistemi di bilateralità che rispecchiano le caratteristiche precedentemente elencate: gli organismi paritetici ex art. 2 comma 1, lett. ee) del D.Lgs. n. 81/2008; i Fondi Interprofessionali per la formazione continua ex art. 118 legge n. 388/2000 e s.m.i.; i Fondi di assistenza sanitaria integrativa; i Fondi di previdenza complementare “chiusi”.

Con riferimento al quesito in oggetto, appare fondamentale chiarire come la Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali  n. 43 del 15 dicembre 2010 (c.d. “Circolare Sacconi”) fornendo un’interpretazione autentica della disciplina, inserisca la clausola inerente la contribuzione agli enti bilaterali (N.B. Enti Bilaterali largamente intesi, tanto che è il documento stesso a citare sia prestazioni sanitarie che di previdenza integrativa), fra quelle obbligatorie – cioè vincolante solo per le parti sottoscrittrici del CCNL– e non tra quelle economico-normative, che, di contro, impegnano tutti coloro che applicano la relativa disciplina del rapporto.

Ne deriva che l’adesione ed il versamento delle quote ad un ente bilaterale, anche in caso di applicazione di un contratto collettivo che preveda tale adesione, non solo non è “automatica”, ma non è neppure “obbligatoria” da parte di un’azienda.

E ciò, come chiarito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la circolare che è stata sopra richiamata, “in coerenza con i principi e le disposizioni della Carta Costituzionale in materia di libertà associativa e, segnatamente, di libertà sindacale negativa, nonché con i principi e le regole di diritto comunitario alla concorrenza”.

Tale tesi è stata confermata non solo da alcune pronunzie della Suprema Corte di Cassazione (cfr. Corte Cass. 10 maggio 2001, n. 6530), ma anche dalla giurisprudenza di merito che è intervenuta sul tema (cfr., tra le tante, Tribunale di Bergamo, Sezione Lavoro, 12 novembre 2014; Tribunale di Torino, Sezione Lavoro, 15 gennaio 2013, ecc.).

Ed invero, qualora i contratti collettivi prevedano l’iscrizione all’ente bilaterale, “nell’ottica di un innovativo welfare aziendale” o per garantire altri servizi dei lavoratori, ciò che diviene obbligatoria non è l’iscrizione all’ente bilaterale di riferimento del contratto, bensì la prestazione ed il servizio che è necessario garantire ai lavoratori.

Nel penultimo paragrafo della circolare di cui all’oggetto, il Ministero pone infatti l’accento sulle caratteristiche atte a rendere l’obbligatorietà della tutela offerta dall’ente bilaterale un diritto incomprimibile del lavoratore e che il datore non può esimersi dal garantire.

In questa sezione il Ministero declina la tutela individuandola come “[…]versamento a favore del prestatore di lavoro di una somma forfettaria o anche dell’erogazione diretta, da parte del datore di lavoro, di prestazioni equivalenti a quelle della bilateralità” ribadendo quanto peraltro già precedentemente evidenziato al termine del paragrafo precedente dove si accenna“ […] erogazione diretta da parte del datore di lavoro di prestazioni equivalenti quale alternativa al versamento del contributo all’ente bilaterale di riferimento” .

L’obbligazione pertanto può essere adempiuta in diversi modalità fra loro equivalenti e che spaziano dall’adesione all’ente bilaterale contrattualmente individuato, fino al pagamento di un importo corrispondente previsto dal CCNL in favore del lavoratore o all’utilizzo di altro strumento che garantisca al dipendente di usufruire del beneficio. Beneficio che si sostanzia nell’innovativo welfare aziendale menzionato nella circolare.

Ne deriva che l’adesione ed il conseguente versamento ad un ente bilaterale diverso da quello indicato nel contratto applicato – come ad esempio all’EBITEN – è del tutto legittimo, perché idoneo a garantire al lavoratore i benefici tipici della bilateralità.

Rimane inteso che il soggetto cui spetta la valutazione ponderale in merito all’equivalenza delle prestazioni offerte da differenti bilateralità è sempre e indiscutibilmente il datore di lavoro, rimanendo quest’ultimo il  debitore dell’obbligazione contrattuale nei confronti del dipendente, dovrà optare per la soluzione che ritiene preferibile purché adempia alla prestazione.

Riassumendo tutto quanto sopra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella circ. n.43 del 2010:

1) pone come “condicio sine qua non” per il riconoscimento del diritto in capo al lavoratore l’individuazione di una prestazione a favore del lavoratore da parte del CCNL applicato;

2) ribadisce ripetutamente che l’obbligazione può essere adempiuta “dal debitore”  – che è sempre e soltanto il datore di lavoro – anche per il tramite di somme o prestazioni equivalenti;

3) stabilisce che le somme o le prestazioni equivalenti devono rientrare nei limiti degli importi stabiliti dalla contrattazione collettiva;

4) definisce espressamente la prestazione da offrire come “equivalente”.

Anche rispetto alle prestazioni sanitarie si ribadisce che la circolare stessa evidenzia come la tutela possa essere garantita al prestatore anche tramite la corresponsione di una entità monetaria congrua o l’erogazione di prestazioni equivalenti. Pertanto nulla osta rispetto alla scelta dell’imprenditore di adempiere all’obbligo tramite una struttura idonea anche se diversa da quella indicata nel CCNL.

Inoltre, a chiosa di tutto quanto sopra, per quanto concerne possibili contestazioni da parte degli enti preposti ai controlli in materia, con particolare riferimento all’accesso ai “benefici contributivi”, alleghiamo circolare INPS n. 51 del 18 aprile 2008; di particolare rilevanza il punto 4) della circolare summenzionata dove viene chiarito per l’appunto che l’accesso ai benefici normativi e contributivi è subordinato all’applicazione della sola parte economica e normativa e non a quella obbligatoria giacché ciò risulterebbe in contrasto con i principi di libertà sindacale di cui all’art. 39 della Cost. oltre che con i principi di diritto comunitario della concorrenza.

circ. MLPS n.43-2010

Circolare INPS n. 51 18 aprile 2008

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